Nonostante il ritardo, poiché molti miei amici in questi giorni mi hanno chiesto cosa ne pensassi e che idea mi fossi fatto a riguardo, ritengo giusto rendervi partecipi di una mia personale (e lunghissima :-)) riflessione sulla vicenda della canzone "Luca era gay" presentata da Povia al festival di Sanremo.
Innanzitutto secondo me è necessario fare una premessa e cioè che, per quanto possa risultare difficile accettare l'idea, Povia nel momento in cui si esibisce sul palco dell'Ariston è un artista e la musica (e così anche la sua canzone) rappresenta a tutti gli effetti una forma d'arte.
Detto questo, penso di non affermare nulla di strano se dico che l'arte non dovrebbe mai essere censurata, se non nel caso in cui sia palesemente offensiva o discriminatoria. Sia che si tratti di un romanzo, di una canzone o di un dipinto, l'autore può essere criticato sia per il suo pensiero sia per il modo (magari distorto) di rappresentare la realtà ma, in quanto artista, dovrebbe sempre essere lasciato libero di potersi esprimere. Al pubblico spetterà poi il compito di decretarne l'insuccesso evitando di acquistare i suoi libri, andare ai suoi concerti o apprezzare le sue tele.
Per questo credo che non sarebbe stata giusta la reazione delle varie associazioni omosessuali italiane qualora avessero impedito a Povia di cantare la sua canzone sul palco di Sanremo. Ci mancava solo che Povia passasse come l'ennesimo martire a cui "è stato impedito di parlare" solo perché esprimeva un pensiero non condiviso (ricordate le polemiche sul caso del discorso inaugurale di Papa Benedetto XVI all'Università La Sapienza di Roma?).
È anche vero, però, che nella sua canzone Povia parla di un tema sul quale al momento in Italia regna molta disinformazione e che quindi meriterebbe di essere approfondito e trattato con meno leggerezza e con più intelligenza, quella che forse il giovane cantante milanese non ha mai avuto e probabilmente non avrà mai (e di questo non possiamo certo fargliene una colpa). L'Arcigay voleva quindi che la Rai non ammettesse il cantante a Sanremo per evitare che potesse cantare quel cumulo di banalità, di inesattezze e di luoghi comuni di fronte a decine di milioni di telespettatori.
Ma secondo me neanche questa sarebbe stata la giusta reazione. Quello che invece avrebbero dovuto fare Grillini e compagni è screditare pubblicamente la canzone dimostrando che in essa erano presenti così tanti stereotipi e sciocchezze sull'argomento da far invidia alla canzone "Il mio amico" presentata un anno prima sullo stesso palco da Anna Tatangelo (e ce ne vuole!). Così facendo nessuno avrebbe potuto accusare le associazioni GLBT di voler tappare la bocca a Povia.
Inoltre avrebbero evitato di fare tanta pubblicità gratuita a un artista così mediocre, facendo conquistare alla sua canzone la vetta nella classifica dei singoli più scaricati da iTunes, le prime posizioni nelle classifiche dei brani più trasmessi da tutte le radio italiane e il secondo posto a Sanremo.
Peraltro, elencare tutte le falsità e i luoghi comuni presenti nel testo della canzone non sarebbe stato per nulla difficile visto che il brano ne è davvero zeppo.
Innanzitutto la frase: «C'era chi mi diceva "è naturale", io studiavo Freud non la pensava uguale». Quindi se ne deduce che
per Povia l'omosessualità non è "naturale" e per affermare questa sua tesi chiama a sostegno addirittura Sigmund Freud. In realtà lo stesso Freud dice esattamente il contrario di ciò che Povia gli attribuisce. Nel suo libro del 1905 "I tre saggi sulla sessualità" Freud spiega che la sessualità umana va in tutte le direzioni e nel 1914 aggiunge che "anche l'interesse sessuale esclusivo dell'uomo per la donna è un problema che ha bisogno di essere chiarito e niente affatto una cosa ovvia".
Poi dire che Luca non trovava pace sessuale e si innamorò di un altro uomo perché sua madre era oppressiva e suo padre assente, di fatto è come dire che si diventa gay a causa di un'educazione sbagliata, di smarrimento o di dolore e che
l'omosessualità è una deviazione dovuta a dei traumi d’infanzia.
Inoltre Povia ci tiene a spiegarci che Luca andava con gli altri uomini solo perché in loro cercava la figura di suo padre che lo aveva abbandonato qualche anno prima. Ovviamente l'uomo che riesce a "traviarlo" è molto più grande di lui e interessato solo al sesso. La storia con lui infatti si basa solo su quello ed è caratterizzata da frequenti tradimenti.
Infine Povia banalizza ulteriormente la vicenda narrando un "lieto" fine (quasi) a sorpresa, come a dire: «non temete, a volte dai traumi d'infanzia e dalle terribili conseguenze (come la la "devianza" omosessuale) ci si può liberare. Luca era gay ma (fortunatamente) adesso sta con lei!».
Ma la canzone non dice che il più delle volte storie come questa finiscono con Luca che si innamora nuovamente di un uomo gay, magari dopo essersi sposato, avere avuto dei figli e aver fatto credere a tutti di essere il marito perfetto.
O peggio con Luca che si riduce dopo anni a incontrare fugacemente altri uomini nei bagni degli autogrill con la moglie che lo aspetta in auto e il seggiolino per il figlio sul sedile posteriore.
Oppure ci sono anche tantissimi omosessuali che scelgono di reprimersi per tutta la loro vita, sacrificando la loro felicità a favore della tranquillità offerta da una vita "normale" e da un matrimonio con figli (forse si riferiva a questo Povia quando durante la penultima serata del Festival ha portato sul palco dell'Ariston un cartello con scritto "Serenità meglio che felicità"?).
Molti però difendono Povia sostenendo che quella narrata nel testo è una storia come ne esistono molte, forse meno frequente di tante altre ma senz'altro possibile.
È vero, sicuramente lo è. Allo stesso tempo però è importante riconoscere la
pericolosità del messaggio trasmesso da una canzone come questa a una platea come quella di Sanremo, in un periodo in cui sempre più spesso si sente parlare di psicologi, psichiatri o semplici ecclesiastici che giurano di conoscere delle tecniche collaudate ed efficaci con le quali è possibile riuscire a "guarire" dall'omosessualità.
È importante capire non solo che dall'omosessualità non si può guarire (tra l'altro l'Organizzazione Mondiale della Sanità ha più volte stabilito che l’omosessualità non è una malattia bensì una variabile naturale del comportamento umano) ma anche e soprattutto che i gay che si accettano anzichè reprimersi e vivono appieno la propria vita affettiva e sessuale sono felici di essere come sono e non vorrebbero mai guarire, neanche se ciò fosse possibile.
Ma purtroppo ho il timore che, anche a causa della canzone di Povia e dei luoghi comuni e delle dicerie che essa alimenta, in futuro ci saranno sempre moltissimi ragazzi e ragazze omosessuali che invece di accettarsi e vivere serenamente la propria condizione sceglieranno di reprimere i loro sentimenti o di coltivare una affettività e una sessualità clandestine e nascoste.